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Costituisce una parte importante del diritto del lavoro e nasce, come il diritto del lavoro stesso, come legislazione sociale avente una posizione eccezionale rispetto al sistema del diritto comune. Nasce come risposta dell’ordinamento alla questione sociale sorta per effetto del processo di industrializzazione (la cosiddetta rivoluzione industriale) del 1750.

In questo periodo si assiste a uno sviluppo capitalistico della produzione, basato sull’organizzazione collettiva e sulla divisione del lavoro, che – insieme con il passaggio da un’economia agricola a una industriale – conduce all’aggregazione nello stesso luogo, la fabbrica, di masse di lavoratori (gli operai) i cui interessi specifici di classe trovano nel tradizionale diritto civile borghese una tutela soltanto riflessa.

“In questo periodo si ha uno sviluppo capitalistico della produzione, basato sull’organizzazione collettiva e sulla divisione del lavoro che, insieme con il passaggio da una economia agricola ad una industriale, conduce all’aggregazione nello stesso luogo – la fabbrica – di masse di lavoratori – gli operai – i cui interessi specifici di classe trovano nel tradizionale diritto civile borghese una tutela soltanto riflessa. […] Allo sviluppo e alla diffusione dei contratti collettivi a livello esclusivamente locale e aziendale faceva riscontro così l’affermazione di una serie, più o meno articolata e determinata, di regole che via via assumeva particolari caratteristiche normative. Trae origine da ciò, in particolare, il fenomeno della rilevanza, nel diritto del lavoro, delle consuetudini, che si caratterizzano più come semplici prassi che come veri e propri usi normativi, sia perché si formano in tempi brevi, sia perché sono spesso il risultato dell’applicazione di accordi collettivi e della loro estensione.”

(G. Ghera, A. Garilli, D. Garofalo, Diritto del lavoro, Giappichelli, V ed.)